Sappiamo che la Procura della Repubblica di Firenze continua ad indagare sulle stragi del 1993 a Firenze, Milano e Roma. Ebbene, in qualità di difensore di una delle persone ferite nell’attentato dei Georgofili, rivolgo un appello a Giuseppe Graviano, affinché chieda di parlare con gli inquirenti fiorentini, per raccontare finalmente tutto quello che sa sulla stagione stragista del ’93. Se Graviano dirà la verità, tutta, da imputato e non necessariamente da collaboratore di giustizia, avrà l’opportunità di essere creduto.
Mi rivolgo a Giuseppe Graviano chiedendogli di contribuire, finalmente, a fare piena luce su una delle pagine più dolorose ed inquietanti della storia della Repubblica, per capire come mai la mafia abbia deciso improvvisamente di risalire il ‘continente’ a suon di bombe.
Giuseppe Graviano nel processo a suo carico celebrato a Reggio Calabria, da poco conclusosi con la sua condanna all’ergastolo, ha dichiarato al PM Lombardo: “Vada ad indagare sul mio arresto e sull’arresto di mio fratello Filippo e scoprirà i veri mandanti delle stragi, scoprirà chi ha ucciso il poliziotto Agostino e la moglie, scoprirà tante cose”. L’arresto, come è noto, avvenne a Milano, al ristorante Gigi il cacciatore di via Procaccini, la sera del 27 gennaio del 1994.
Inoltre, parlando davanti alla Corte di Assise di Reggio Calabria, Graviano si definisce una vittima di un preciso disegno politico perché “sono l’unico a essere rimasto in carcere, condannato all’ergastolo, perché sono l’unico che è a conoscenza di certe situazioni…”. Poi specifica che si riferisce a “una grossa somma che negli anni Sessanta” sarebbe stata consegnata dal nonno materno al gruppo imprenditoriale che faceva capo a Silvio Berlusconi.
Fatti criminali, terroristici, con forti implicazioni politiche che hanno ancora troppe zone oscure da spazzare via. Perché uno Stato di diritto che non riesce a dissipare le ombre e i sospetti, anche gli angoli più nascosti della propria storia, rischia di essere una democrazia sotto ricatto.